lunedì 24 dicembre 2012

Parola d'ordine: Farsi conoscere

Facendo finta che non siano passate decadi dall'ultimo post, oggi vi "allieterò" con una riflessione uscita fuori da una chiacchierata con un amico giornalista fatta recentemente.
Una riflessione che mi ha tenuto la testa occupata ben oltre il tempo della nostra conversazione; in poche parole la suddetta cercava di districarsi tra i meandri del ben, giusto e corretto pensare dei cuochi di oggi, alla ricerca della risposta definitiva al quesito fondamentale, ovvero: è più giusto, per un cuoco, proporsi, lanciarsi sul mercato con le porprie idee o aspettare che sia il mercato, i clienti, a venire da lui a scoprire la sua arte?
La risposta più giusta è diversa a seconda del periodo storico in cui viene posta. Diciamo che al giorno d'oggi, la tendenza attuale dell'alta cucina segue la prima corrente di pensiero. Oggi tutti i più grandi Chef, vuoi per la crisi economica che ha inevitabilmente colpito anche loro, vuoi per il diffondersi di potenti mezzi di comunicazione, vuoi per la crescente domanda del pubblico, si fanno vedere in TV con programmi a loro dedicati, aprono scuole di cucina, scrivono libri su libri, fanno pubblicità a questo o quel prodotto, elaborando prodotti a loro nome e chi più ne ha più ne metta. Insomma, lo Chef stellato preferisce il calore dei riflettori al calore dei fornelli.
E la domanda sorge spontanea. Quanto di vero c'è in questa modus operandi?
Il fatto che un bravo e telegenico cuoco mi proponga delle ottime ricette o mi dia dei consigli su certe preparazioni mi da la certezza che sto effettivamente seguendo i suoi consigli? Io penso di no...
Quei consigli sono, inevitabilmente, filtrati, controllati dagli autori del programma, sono studiati per essere comprensibili ai più e politicamente corretti.
Scommetto che vi sarà capitato di vedere qualche puntata di Cuochi e Fiamme, di Master Chef, di La prova del Cuoco, sono inevitabilmente programmi interessanti per chi ama la cucina, che invogliano a cimentarsi ai fornelli, che comunicano una cultura del cibo, tutto sommato, accettabile e abbastanza coerente con la nostra cultura gastronomica italiana. Ma, a mio parere, chi segue questi programmi o legge questi libri deve guardare oltre lo schermo, oltre il libro, oltre le scuole e andare indietro nel tempo, a quando i nostri nonni e bisnonni con poco riuscivano ad avere molto, con semplicità riuscivano ad elaborare la complessità. Bisogna liberarsi dalle zavorre dei mille consigli per guardarsi dentro e trovare la propria strada, la propria idea, la propria cultura culinaria che è insita nel nostro DNA di italiani.
Siamo tutti, chi più chi meno, innamorati della cucina. Tutti gli italiani dovrebbero saper fare e farsi da mangiare, non perchè lo dico io o la Clerici o lo Chef stellato di turno, ma perché, in quanto italiani, siamo portatori sani di gusto e creatività vera.
La verità di una persona o di cuoco si assapora solamente seduti al tavolo da pranzo della sua cucina o al tavolo della sala del suo ristorante. Chi non cucina per gli altri non vuol farsi conoscere, non vuole rivelare la propria anima preferendo l'ombra e l'anonimato del fast food o del già pronto e surgelato.
Quindi, se mi è permesso un consiglio, quando vi è possibile, cucinate pranzetti o cenette a casa vostra, cimentatevi con le preparazioni e a andate al ristorante con spirito critico e analitico, scoprirete profondità inesplorate che vi arricchiranno come persone ma soprattutto come italiani.